Di seguito il testo dell’intervista rilasciata dal presidente Silvio Berlusconi al quotidiano La Stampa il 9 novembre 2011.
A tarda sera ti aspetteresti di trovare un uomo abbattuto e depresso, invece la voce è squillante, ma le parole sono chiare e inequivocabili: “Appena sarà approvata la legge di stabilità mi dimetterò e, siccome non ci sono altre maggioranze possibili, vedo solo le elezioni all’inizio di febbraio, elezioni a cui non mi candiderò più”.
Il passo indietro, nelle parole del Cavaliere, è totale e definitivo: “Il candidato premier del centrodestra sarà Alfano, è accettato da tutti e sarebbe sbagliato bruciarlo adesso provando a immaginare un nuovo governo guidato da lui”.
Sembra impossibile immaginare che Silvio Berlusconi farà davvero il passo indietro definitivo, invece lui lo conferma a più riprese, così come ha fatto nel suo colloquio al Quirinale, tanto che il Presidente della Repubblica considera le dimissioni come già date.
“Prima però dobbiamo dare risposte immediate ai mercati, non si può attendere oltre ad approvare le misure concordate, io mi sono impegnato con l’Europa a farlo e prima di andarmene voglio mantenere la promessa. Adesso però faccio appello a tutti, maggioranza e opposizione, perché passino al più presto e poi io mi dimetterò”.
Le elezioni però non sono automatiche. “Certo, il Capo dello Stato farà le consultazioni ma io non vedo maggioranze alternative possibili: da un lato io non intendo fare un governo con il Pd, non voglio certo chiudere andando con loro, dall’altro Casini ha detto chiaramente che un accordo con noi non gli interessa e allora la matematica mi dice che non ci sono altre strade. Resta solo la via maestra, quella delle elezioni”.
Gli chiedo in che tempi, se immagina davvero elezioni con la neve e comizi con il cappotto, una cosa mai vista nella storia d’Italia: “I tempi dell’approvazione della legge di stabilità dovrebbero essere veramente celeri: entro la prossima settimana l’approvazione al Senato e quella successiva alla Camera, lì dipende dal calendario che deciderà Fini, ma comunque entro la fine del mese l’iter sarà stato completato e io mi sarò dimesso. E’ importante fare veloci: prima facciamo e prima usciamo da questa giostra infernale, da questa situazione incredibile, con i mercati che spingono e premono”.
Gli chiedo se si sente messo in un angolo e fatto fuori dalle Borse, dall’Europa, dalla speculazione, se – come ha detto qualcuno dei suoi – siamo di fronte ad un “golpe dei mercati”. “A dire la verità questa pressione è una grande opportunità, i mercati ci spingono a fare le riforme che non siamo mai riusciti a fare, quelle liberalizzazioni che avevo sempre messo nel mio programma ma che avevano trovato mille resistenze. Non la dobbiamo vivere come un’imposizione ma come un’occasione”.
Andiamo avanti a parlare, ride, scherza, sembra quasi liberato di un peso oppure ancora non cosciente di quanto è accaduto, ma basta citargli i deputati che lo hanno abbandonato per riaccenderlo: “E’ successa una cosa allucinante, a cui faccio ancora fatica a credere, mi hanno tradito quelli che ho portato per una vita nel cuore, penso ad Antonione e non riesco ancora a crederci, e pensare a tutto quello che ho fatto per lui. Prima lo avevo nominato coordinatore di Forza Italia, poi lo abbiamo candidato a governatore, quando è stato eletto in Friuli gli ho portato a Trieste tutti i bilaterali possibili, per dare lustro alla sua presidenza, e poi mi ha fatto anche fare da padrino alla sua bambina. E’ incredibile: sono il padrino di sua figlia e lui mi tradisce, non posso credere ai miei occhi. Così gli ho chiesto di incontrarci ma lui ha avuto paura di venire e mi ha liquidato con una lettera. Degli altri non parlo nemmeno, a partire dalla Carlucci, da Gabriella Iscariota”.
Difficile credere che possa farsi una ragione di tutto questo; conoscendo l’uomo si è portati a credere che proverà ancora una volta la rivincita, che non si negherà il tentativo di un ultimo giro, ma lui nega ancora: “No, non mi ricandido, anzi mi sento liberato, adesso è l’ora di Alfano, sarà lui il nostro candidato premier, è bravissimo, meglio di quanto uno potesse pensare e la sua guida è stata accettata da tutti”.
E lei adesso cosa farà, è disposto davvero a stare un passo indietro? “Farò il padre fondatore del mio partito e magari mi rimetterò a fare il presidente del Milan”. Gli dico che non ci credo a un Berlusconi che si tira fuori dalla mischia e qui un po’ si lascia andare: “Beh, magari potrò dare una mano in campagna elettorale, quella è una cosa che mi è sempre riuscita benissimo”.
Nei suoi scenari futuri c’è ancora un’alleanza tra il suopartito e la Lega. “Alla fine Bossi mi è stato sempre fedele, la nostra amicizia e la nostra alleanza hanno tenuto, nonostante molti scommettessero il contrario». Un’alleanza che immagina possa ancora vincere: «Con il mio passo indietro e Alfano candidato non è scritto da nessuna parte che gli italiani siano pronti a consegnare il Paese nelle mani di un’alleanza che parte al centro e arriva fino a Bersani, Vendola e Di Pietro. Penso che sia qualcosa di indigeribile alla maggioranza degli italiani. Eppure loro sono già convinti di avercela fatta, hanno perfino preparato i nuovi organigrammi e promesso a Casini che farà il presidente della Repubblica e lui ci spera altroché e per questo non li molla”.
I retroscena sul vertice dell’altroieri ad Arcore hanno raccontato della contrarietà della famiglia alle dimissioni, ma Berlusconi sostiene che la storia è esattamente il contrario: “I miei figli sono felicissimi se io esco dalla politica, sperano così di svegliarsi la mattina e non dover leggere i giornali di tutto il mondo pieni di attacchi contro di me, e poi sanno che io sono stanco”. “Sono stanco – riprende dopo una lunga pausa in cui si sente finalmente lo sfinimento di questi giorni – di non riuscire a dettare la linea e di non poter fare la politica che vorrei. Sono più potente come libero cittadino che come presidente del Consiglio, stavo leggendo un libro sulle lettere di Mussolini a Claretta e lui ad un certo punto le dice: “Ma non capisci che io non conto niente, posso fare solo raccomandazioni”. Ecco io mi sono sentito nella stessa situazione”.
Gli faccio notare le differenze del caso rispetto alla dittatura fascista, ma lui interrompe: “Certo, io non sono un dittatore anche se lo avete scritto per anni, ma quello che volevo dire è che i padri costituenti proprio per la paura che la storia si ripetesse hanno indebolito eccessivamente l’esecutivo. Ma io le chiedo: è capo del governo uno che non può far fare al ministro dell’Economia la politica economica in cui crede?”.
Non potevamo non arrivare a Tremonti, almeno alla fine: “Il rapporto personale non è cattivo, a Cannes siamo stati perfino compagnoni, ma poi lui alla fine fa sempre quel cavolo che gli pare e a me resta solo da fare l’ordine del giorno del Consiglio dei ministri. Mi resta però una consolazione, quella di essere stato il premier più longevo della Storia». Lo interrompo per correggerlo, solo se fosse arrivato alla fine della legislatura avrebbe battuto Giovanni Giolitti: “Ma io intendevo della storia repubblicana”. Sta zitto un attimo e conclude: “Questa di Giolitti non la sapevo: peccato, peccato davvero. Vabbé, buonanotte”.
La Stampa, Mario Calabresi, 9 febbraio 2011