Se il ministro dell’Interno “non ritenga opportuno individuare misure legislative e amministrative finalizzate a contrastare il fenomeno dei blocchi ai poli logistici che, se sottovalutato, rischia di provocare gravi conseguenze economiche e sociali, per esempio istruendo gli organi di pubblica sicurezza perché garantiscano, con interventi preventivi, il libero esercizio dell’attività alle aziende minacciate da condotte illecite di sedicenti sindacalisti”.
Lo chiede, in un’interrogazione a risposta scritta, l’on. Michela Vittoria Brambilla. Nel testo ricorda che i blocchi si contano a centinaia negli ultimi cinque anni e che per un’azienda medio-grande ogni giorno di blocco può valere un milione di euro, soprattutto (ma non solo) per le perdite di alimenti deperibili. Tra le aziende coinvolte, negli ultimi due anni, figurano anche Consorzio Conad, Esselunga, Coop Alleanza, Maxi Di, Unicomm, Alì, Unes, il Gigante, Tigros e Penny. “Tutto ciò – aggiunge la deputata di Noi moderati – non ha nulla a che vedere con normali relazioni sindacali. Si tratta di ricatti ed estorsioni, che hanno conseguenze gravissime sulle imprese e sul tessuto sociale. Le aziende della Grande distribuzione organizzata, oggi, di fatto, sono sole, da questi sciagurati blocchi non hanno difese e sono continuamente sottoposte a illecite pressioni. Lo Stato e in generale la politica devono dare subito una risposta efficace, a fianco delle imprese che con i loro supermercati rappresentano una parte importante della nostra economia e un insostituibile valore sociale per i cittadini”.
“In generale – premette nell’interrogazione la parlamentare – le imprese della Grande distribuzione organizzata si avvalgono di poli logistici, gestiti direttamente o in appalto, nei quali entrano ed escono le merci provenienti dai produttori e dirette ai punti vendita. Ormai da anni, con frequenza sempre maggiore, sigle sindacali “autorganizzate”, non firmatarie di alcun contratto collettivo nazionale, effettuano, anche con la partecipazione di poche decine di militanti seduti o in piedi davanti agli ingressi dei poli logistici, blocchi di protesta che possono durare giorni, impedendo il transito dei prodotti e, in alcuni casi, l’ingresso dei lavoratori dissenzienti”.
C’è una giurisprudenza consolidata, secondo la quale “tale condotta supera i limiti al diritto di sciopero posti dal nostro ordinamento”. Non si tratta, infatti, “di un’astensione dal lavoro decisa collettivamente per tutelare interessi collettivi, ma di azioni volte a provocare lesioni dell’incolumità e della libertà delle persone, dei diritti di proprietà e di libera iniziativa economica, del diritto di aderire o meno ad un’organizzazione o una iniziativa sindacale, oltre che rilevanti danni materiali a carico delle imprese”. In alcuni casi, come per un picchettaggio al Penny, i responsabili “sono stati condannati anche in sede penale, per i reati di tentata estorsione e di violenza privata (art.610 c.p.)”. Anche la Commissione di Garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, in risposta ad un interpello del professor Pietro Ichino, ha evidenziato che “le condotte relative ad un caso avvenuto nel 2021, consistenti in picchetti realizzati con la violenza e coazione fisica, esulano dalla nozione di sciopero e sono d’interesse delle Autorità preposte alla tutela dell’Ordine pubblico”.
In effetti, sottolinea l’on. Brambilla, “i blocchi, che si contano a centinaia negli ultimi cinque anni, non soltanto producono danni milionari alle aziende della Gdo, ma colpiscono direttamente gli appaltatori della logistica, i trasportatori e gli stessi dipendenti della grande distribuzione, la cui busta paga è in parte legata all’andamento delle vendite, e infine i consumatori che trovano spazi vuoti sugli scaffali. Un aspetto particolarmente grave è la perdita di tonnellate di alimenti freschi, freschissimi e deperibili”.
“A breve e medio termine – conclude l’ex ministro – le imprese della Gdo e della logistica potrebbero vedersi costrette a chiedere ore di cassa integrazione, a ridurre il personale e a delocalizzare i poli logistici (ove possibile) oltre i confini nazionali, con evidenti ricadute sull’occupazione e il conseguente aumento della tensione sociale nei territori interessati”.