Di seguito un intervento del ministro del Turismo, on. Michela Vittoria Brambilla:
Immigrati, integrazione e cittadinanza. Per questioni importanti ma anche delicate come queste, occorre uscire da quella che sembra essere diventata una commedia degli equivoci.
Riteniamo che la cittadinanza italiana possa essere concessa agli immigrati solo a condizione che essi abbiano già maturato una permanenza continuativa nel nostro paese non inferiore a dieci anni ma, soprattutto, che abbiano anche acquisito un livello di conoscenza della nostra lingua, della nostra cultura e soprattutto delle nostre leggi tale da rendere, sotto ogni profilo, tangibile la loro volontà di integrazione. La cittadinanza deve essere considerata il traguardo finale di un avvenuto percorso di integrazione e non certo il punto di partenza dal quale si possa immaginare che, in un secondo tempo, nasca per partenogenesi la conoscenza della nostra struttura giuridica, sociale e culturale.
Aggiungo che il percorso dei dieci anni potrebbe essere sufficiente affinché l’immigrato dimostri di essersi a tutti gli effetti integrato ma non è detto che lo debba essere sempre e automaticamente – un timbro e via – per tutti.
Infatti, considerato quanto chiaramente emerso nel sondaggio realizzato per i Promotori della Libertà, preoccupa il fatto che una congrua percentuale degli immigrati regolari che vive in Italia da più di 7 anni dichiari non solo di non conoscere ancora a sufficienza la nostra lingua e le nostre tradizioni ma anche di non conoscere le nostre leggi e il nostro sistema giuridico. Come se vi fosse la scelta di vivere in un contesto a parte. Con l’ulteriore dettaglio che una parte significativa di coloro che invece raccontano di conoscere le nostre normative, dichiari poi di non condividerle affatto.
Questo non mi pare proprio essere un aspetto secondario del problema. Se sono convinta che, anche in Italia, l’immigrato debba poter acquisire la cittadinanza con tutti gli altri diritti che ne conseguono, mi chiedo però come si possa pensare di concedere questi diritti a chi non dimostri, con i fatti, la propria convinta volontà di integrarsi nella struttura giuridica, sociale ed anche culturale di questo paese.
Per concludere, ritengo che gli immigrati debbano raggiungere questo importante traguardo attraverso verifiche e criteri selettivi molto rigorosi, che poi sono gli stessi già adottati da tempo da altri paesi. E vista la dimensione ormai raggiunta anche in Italia dal fenomeno migratorio, occorre affrontarlo con lungimiranza e con gli strumenti più adeguati.
Sono aspetti dei quali tenere conto per evitare che questo processo di integrazione rischi di essere un fatto soltanto virtuale o, peggio ancora, di prendere strade sbagliate e che possono diventare addirittura pericolose per la tenuta e lo sviluppo del nostro tessuto sociale.
E poi, lasciatemelo dire, la cittadinanza di un grande paese come l’Italia, non è certo cosa da poco: occorre esserne consapevoli. E orgogliosi.