BRAMBILLA:”INTERVENTO TENUTO ALLA V CONFERENZA DEGLI ASSESSORI ALLA CULTURA E AL TURISMO”

Credo che durante i lavori di questo interessante convegno che ha visto  una larga partecipazione di autorevoli esperti oltre che di  qualificati assessori della cultura e del turismo del nostro territorio siano stati bene messi a fuoco le principali criticità di cui soffre oggi il nostro turismo culturale, criticità sulle quali vorrei fare il punto con voi.
Cominciando dall’eccesso di burocrazia cioè da normative e poi da una suddivisione e da una regolamentazione di compiti e di mansioni, da un’organizzazione delle strutture, insomma da un tipo di architettura, che risale agli anni Cinquanta, quando di turisti in giro per il mondo non ce ne erano più di 25 milioni e nessuno ancora  minimamente pensava alla possibilità che i nostri musei e le nostre eccellenze artistiche e culturali potessero attrarre una così  enorme e cosmopolita platea.
E tengo a dire che non ho proprio nulla contro la burocrazia come principio, perché essa esiste anche in Francia e in Spagna e nessuno può dire che, in questi paesi, sia di ostacolo allo sviluppo dell’offerta. Anzi.
Ma evidentemente in questi paesi si è pensato per tempo a preparare anche professionalmente – e parlo di addetti ai musei come di chi gestisce gli avvenimenti – una burocrazia che fosse più funzionale al tipo di lavoro che sarebbe andata a svolgere.
In Italia questo non è accaduto o è accaduto solo in minima parte e se voi me ne chiedeste le ragioni, vi risponderei che la causa prima di questa nostra grave carenza va, secondo me, individuata, nel fatto che non c’è mai stata, in questo paese, soprattutto dagli anni 90, una politica che affrontasse, in termini proprio di strategia e di programmazione, i problemi che, con l’aumento vertiginoso dei flussi turistici, stavano via via lievitando in questo settore
Come è indubbia, mi sembra, la carenza, in questo settore, di una vera cultura imprenditoriale e quindi anche di una managerialità che fosse idonea a gestire un turismo culturale che, rispetto ad altri, ha indubbiamente caratteristiche particolari e, in un certo senso, anche esclusive.
E penso che il ministro Bondi abbia fatto bene ad avviare una strategia che abbia fra i suoi obiettivi anche quello di affidare a persone di comprovata esperienza manageriale, come appunto è il caso di Mario Resca, il compito di creare strutture e di definire interventi che servano ad ancor più valorizzare il grande patrimonio dei nostri beni culturali. Nessuno mette in dubbio la specifica competenza di molti di coloro che oggi operano per la tutela e per la conservazione di queste importanti  strutture pubbliche. È evidente però che, per valorizzarle e per venire maggiormente incontro anche alle esigenze del mercato, sono ormai indispensabili strategie innovative, le stesse che sono state, del resto, da tempo adottate da paesi che, in questa area, possono essere considerati i nostri più diretti competitors. Quindi – proprio in un momento come questo, caratterizzato dalla scarsità di risorse – è giusto iniettare anche in quest’area una buona dose di cultura imprenditoriale, l’unica che consenta, da un lato, di sburocratizzare per quanto serve le strutture e, dall’altro, di ottimizzare, anche sotto il profilo economico, le loro attività.
Certamente vi è un problema di risorse obbiettivamente limitate.
Credo però che, affinché queste non ingenti risorse possano diventare più produttive sotto il profilo dei risultati cioè della resa di mercato, le varie iniziative dovrebbero essere supportate da una programmazione che riuscisse, da un lato, a realizzare  una più equilibrata suddivisione dei costi e, dall’altro, a canalizzare l’offerta promozionale in un sistema che, potendo far leva su una più vasta gamma di supporti e di sinergie, potrebbe probabilmente ottenere, in termini di vendita del prodotto, risultati migliori.
Ed è questa una delle grandi criticità del nostro turismo in generale, che sapete bene anche voi, soprattutto in Italia, vive un momento di difficoltà. Certo, il turismo continua a rappresentare uno dei settori che per il momento stanno resistendo meglio alla crisi economica che avanza a livello mondiale, eppure vediamo da più parti che gli indici e gli andamenti volgono di nuovo al negativo. In questo scenario non fa eccezione il turismo culturale, e mi permetto di dire che ciò è particolarmente preoccupante per noi, per una serie di importanti motivi, a partire dal peso che esso detiene rispetto all’industria turistica italiana nel complesso: il 30% del nostro turismo è infatti riconducibile alla cultura, e la sua rilevanza supera ampiamente il 50%, se consideriamo i turisti stranieri. Inoltre, il turismo culturale ha un ruolo determinante per quello che riguarda la stagionalità dell’intero settore: esso è infatti il segmento di offerta che, pur con alcuni picchi di concentrazione della domanda, presenta la maggiore continuità nell’attività ricettiva.
Voglio citare il Country Brand Index, una ricerca realizzata da una società internazionale, che ogni anno misura presso i maggiori mercati del mondo l’appeal, l’attrattività e insomma il “desiderio” verso tutte le destinazioni turistiche globali; ebbene, per il 2008 l’Italia è al quarto posto nella classifica generale di attrattività a livello mondiale, ma è al primo posto rispetto al parametro “Arte e cultura”. Questa è per me una delle tante conferme del fatto che il nostro Paese, agli occhi del mondo, si identifica con la sua cultura, la storia, la bellezza. Ecco, in definitiva, perché il settore culturale ha davvero un ruolo speciale per il turismo italiano, e per il Paese stesso. Alla luce di queste considerazioni, non posso che essere del tutto d’accordo con un’affermazione che sta alla base di questa importante conferenza: “La crisi economica non deve trasformarsi in crisi della cultura”, ed è nostra precisa intenzione mantenere una visione della cultura come una risorsa su cui investire, non un costo dal quale liberarsi.
Ed ecco perché dispiace vedere che il turismo culturale, negli anni, non ha mostrato ancora la capacità di reazione e la spinta di innovazione di cui avrebbe avuto bisogno. Anche gli altri due grandi comparti del turismo italiano, il balneare ed il montano, mostrano da molto tempo segnali di crisi e di invecchiamento del prodotto, a cui però dimostrano di saper reagire, cercando nuove soluzioni, nuovi sistemi di offerta, nuovi approcci al mercato, tentando inoltre di diversificare, specializzare e rinnovare il proprio prodotto.
Non si è notata invece nel turismo culturale altrettanto sforzo di cambiamento e di aggiornamento dell’offerta negli anni, nonostante il fatto che il profilo del turista culturale sia anche quello più esigente, più attento ed informato, che più degli altri apprezza e ricerca un sistema moderno di offerta. Ad esempio, tanto nei musei che nell’esperienza di viaggio complessiva, i tursiti attratti dalla motivazione culturale richiedono sempre più informazioni e una maggiore interattività, una maggiore integrazione delle componenti dell’offerta.
Pensiamo in particolare al filone di innovazione che si è aperto con le city card, e che ancora mostra enormi margini di sviluppo, soprattutto in Italia. Non vi è dubbio infatti che saranno i sistemi integrati e specializzati di offerta, capaci di incontrare le esigenze sempre più specifiche di un turista evoluto, quelli che avranno più chance nella competizione turistica globale. Essi infatti rappresenteranno la risposta per chi ormai si muove alla ricerca di luoghi da scoprire, seguendo itinerari capaci di soddisfare la vasta gamma di rinnovati interessi e di crescenti curiosità.
Il nostro compito di fronte a questa situazione è quello di stimolare gli operatori ad essere più dinamici, a ricercare l’integrazione fra i servizi e fra gli attori del comparto, per arrivare ad offrire servizi moderni e competitivi che possano realmente aiutare e rendere agevole la fruizione complessiva da parte del turista, che per il segmento culturale è ancora difficile, frammentata e faticosa, anche a partire da elementi basilari come la segnaletica.
Integrazione e interazione devono quindi coinvolgere inevitabilmente gli attori privati e i soggetti pubblici.  Nell’ambito dei beni culturali, sapete bene che il rapporto fra il settore pubblico e il privato rappresenta ormai da decenni un tema delicato e molto dibattuto, ed è indubbiamente il terreno sul quale si decideranno i cambiamenti più importanti e strategici. Da anni ci si muove, su questo tema, fra un modello “americano”, impostato sull’attività culturale dei privati e delle fondazioni, fortemente incentivata da apposite politiche fiscali, ed un modello “europeo”,  che prevede risorse pubbliche per sostenere patrimoni ed attrattive che a loro volta alimentano e arricchiscono il territorio. Non è questa la sede per parteggiare per l’uno o per l’altro modello, ma mi preme semplicemente ricordare che la componente privata, o privatistica, può essere in molti casi un’opportunità importante: la nostra idea quindi non è sostenere la privatizzazione come una necessità assoluta, ma ricordare che essa rappresenta spesso un’occasione da sfruttare.
Al di là delle già buone esperienze delle gestioni autonome finora attuate, il settore pubblico deve essere ancora meno autoreferenziale, aprirsi ulteriormente al privato, così come crediamo che il privato – in particolare gli operatori turistici più che le imprese culturali – debba ancora imparare a raffrontarsi con il pubblico per creare strategie condivise. In tutto ciò, è necessario pensare, ed agire, evitando ogni estremismo, ricordando ad esempio che rimane nel settore pubblico un capitale umano importantissimo, di grande competenza ed esperienza. A questo capitale si devono però aggiungere oggi dei criteri privatistici per ottimizzare la gestione, e premiare i risultati, rendendo più autonome le competenze elevate ed efficienti.
Unire l’azione del pubblico e del privato significa anche unire gli obiettivi della tutela a quelli della valorizzazione: per questo è necessario produrre effettivi e concreti incontri fra le attività e le funzioni di tutela e valorizzazione del patrimonio pubblico e le possibilità che il mercato offre per il recupero ed il riutilizzo di parte del nostro patrimonio anche ai fini turistici.
Indubbiamente, idee e progetti che promuovono l’incontro fra pubblico e privato per la valorizzazione del nostro patrimonio e della nostra offerta turistica, hanno bisogno, per essere compiutamente realizzate, del sostegno operativo di un apparato pubblico capace di entrare maggiormente in sintonia con esse.
In questo complesso insieme di tematiche, di obiettivi e di passaggi fondamentali che ci attendono, e di fronte all’impegno che il governo si assume per sostenere il rilancio dell’offerta complessiva del turismo e della cultura italiana, vorrei infine sottolineare un aspetto che la politica nazionale rischia a volte di porre in secondo piano: ovvero l’importanza cruciale del livello territoriale, ed il ruolo assolutamente decisivo che assumono gli attori e gli amministratori locali.
Il territorio è senz’altro l’elemento ed il livello di maggiore attrazione della domanda turistica, e solo la capacità del territorio di saper fare sistema attorno ai suoi punti di forza (e certamente il nostro straordinario patrimonio artistico e culturale e’ uno di questi) può consentire al nostro Paese di superare definitivamente la stagione dello spontaneismo e delle rendite di posizione che ha caratterizzato il nostro settore troppo a lungo.
Gli amministratori locali, sono l’anello centrale del passaggio per un rinnovamento complessivo del sistema di offerta turistica e culturale. Attrarre visitatori richiede non solo la disponibilità di attrattive e monumenti: i turisti vengono a vedere una cultura viva, non solo un patrimonio culturale, si deve quindi anche stimolare la vivacità culturale, con logiche e ottiche moderne, legate al mondo delle imprese culturali e degli operatori turistici, guardando ovviamente anche al mondo dello spettacolo, ed è questo un obiettivo che solo le amministrazioni locali, con il loro lavoro capillare e continuo, possono conseguire.
Ma , credetemi, non è una frase fatta ripetere che proprio questa crisi, una crisi che, del resto, riguarda tutta l’Europa e non soltanto noi, può anche diventare una  occasione per fare molte delle cose che questo sistema, ha continuato a rinviare di anno in anno pensando che vi fossero sempre problemi più urgenti da affrontare. Questo momento può e deve rappresentare per noi una nuova opportunità.