“E se dovesse arrivare Lufthansa ad aprire un paracadute per Alitalia? Il sottosegretario al turismo stropiccia gli occhi, tentenna e poi riparte alla carica: «L’italianità della compagnia è fondamentale per lo sviluppo del nostro Paese, noi abbiamo bisogno che Alitalia continui a volare per garantire la crescita dei flussi». La Brambilla non ci sta. La notizia del dietrofront di Cai l’ha appresa, ironia della sorte, in Francia, a Bordeaux, dove era impegnata nei lavori del 7° Forum internazionale del turismo, e dopo 24 ore trascorse a elaborare “la batosta” riparte alla carica e tira fuori i numeri. I numeri dell’impatto che avrebbe sull’economia italiana il fallimento del primo vettore nazionale. «Avremmo un 30-35% di arrivi in meno dall’estero e un crollo del 20% del turismo nazionale, mentre il danno di immagine ha un valore incalcolabile. Perché se davvero questo progetto di rilancio dovesse fallire, non andrebbero a casa solo i 20 mila dipendenti di Alitalia ma anche molti dei lavoratori che oggi operano nel settore del turismo». Un grido d’allarme, lanciato, per denunciare la miopia di chi «ancora non riesce a vedere quel trait d’union tra la rete del trasporto aereo e il turismo che rappresenta la vera grande sfida del futuro». «Tra cinque anni – continua – il 70% dei flussi extraeuropei sarà garantito dal trasporto aereo verso nuove mete. Un’occasione unica che però noi rischiamo di perdere senza avere alternative». Lo dicono i numeri. Dagli anni ‘70 a oggi, infatti, la rete autostradale dei Paesi europei è cresciuta del 230%, in Italia solo del 67%. L’alta velocità ferroviaria copre solo 590 km della Penisola, contro i 1.540 di quella francese. E il trasporto aereo subirebbe un colpo mortale con il fallimento di Alitalia.
«I tour operator – spiega la Brambilla – ci metterebbero meno di un minuto a cancellare dai loro pacchetti un Paese come l’Italia che offre un’affidabilità minima rispetto ai concorrenti». E anche le ipotesi di vettori alternativi che coprirebbero le rotte lasciate libere da Alitalia non la convince. «Noi – sottolinea – dobbiamo valorizzare il made in Italy, ma senza una nostra compagnia non colmeremo il gap con i concorrenti». Una differenza che non si conta solo in soldoni ma anche in organizzazione. La Spagna oggi spende 138 milioni – per la “sua” promozione, mentre l’Italia garantisce all’Enit (l’ente preposto) 49 milioni per il 2008 che diventeranno 33,2 nel 2009. E poi. La frammentazione della spesa per la promozione regionale è costata al Paese tra il 2001 e il 2006 1 miliardo e 119 milioni di euro in media all’anno. In Spagna, invece, l’attività di promozione è diretta a livello nazionale con ottimi risultati e spese minime. Infine i prezzi. In Francia si spendono 119 euro per una camera, nel Belpaese 141 e passa. Qualità e quantità non fa differenza, l’Italia deve ripartire. «Dal miglioramento del rapporto qualità-prezzo delle strutture ricettive alla riforma dell’Ente, sono tante le cose in agenda – conclude la Brambilla – ma io, come il presidente Berlusconi, siamo convinti dell’importanza di avere una politica nazionale del turismo. Tutto il governo, dalle Infrastrutture all’Economia dobbiamo fare squadra e individuare obiettivi da raggiungere nel lungo periodo».
Tobia De Stefano, Libero, 20 settembre 2008