Un grado piuttosto scarso di conoscenza e di condivisione delle leggi del nostro Paese, anche dopo molti anni di permanenza in Italia, nonostante dichiarino la voglia di integrarsi. È il quadro che emerge dall’indagine condotta dall’Istituto Piepoli, per conto dei Promotori della Libertà, su un campione di immigrati, regolari e irregolari, e presentata martedì 11 maggio, nella sede centrale dei Promotori della Libertà, a Milano, dall’on. Michela Vittoria Brambilla.
Se diventassero cittadini, i “nuovi italiani” potrebbero votare e il risultato sarebbe molto netto: Silvio Berlusconi è il leader politico che piace alla stragrande maggioranza degli intervistati (42 per cento); molto distaccato Pierluigi Bersani (25 per cento), seguono Pierferdinando Casini (11 per cento), Antonio Di Pietro (9 per cento) e Umberto Bossi (8 per cento).
Gli immigrati, anche i regolari con un tempo di permanenza relativamente lungo, mostrano di conoscere poco o per nulla le leggi italiane in generale (52 per cento), le norme che consentono i ricongiungimenti famigliari (62 per cento) e quelle sull’ottenimento della cittadinanza (42 per cento). Queste ultime, in particolare, risultano “molto conosciute” solo al 12 per cento del campione preso in esame. Come è ovvio le percentuali di quanti conoscono molto o abbastanza le norme salgono tra i regolari (43 per cento per le norme sui ricongiungimenti e 64 per cento per quelle sulla cittadinanza).
Va evidenziato, inoltre, il basso grado di apprezzamento delle leggi del nostro Paese. Solo una minoranza degli intervistati (41 per cento) afferma di condividerle.
Relativamente basso il livello di conoscenza di lingua e cultura. Nel campione indifferenziato, solo il 10 per cento afferma di conoscere molto la lingua italiana e il 54 per cento dice di conoscerla abbastanza. Sempre tra gli immigrati in generale, solo il 6 per cento afferma di conoscere molto la cultura italiana e il 40 per cento di conoscerla abbastanza. Percentuali più alte, ma non di molto, si registrano tra i regolari (rispettivamente 9 e 50 per cento).
Nella popolazione straniera residente in Italia (mediamente da 5,4 anni e da 7,3 anni nel caso dei regolari) il 48 per cento del campione considerato si sente integrato nella società italiana, ovviamente con forti differenze tra regolari e irregolari.
Viene, inoltre, dichiarato il desiderio di integrarsi e di ottenere la cittadinanza per il 75 per cento degli immigrati, regolari e non, ma solo una parte di essi sarebbe molto o abbastanza interessata a votare se l’avesse ottenuta (51 per cento).
Gli immigrati giudicano tutto sommato positivo il loro rapporto con gli italiani sul lavoro (57 per cento) e, in misura minore, quello instaurato fuori dall’ambiente lavorativo (47 per cento). E sono i primi a riconoscere che la lingua conta perfino più del lavoro per potersi integrare. Il 57 per cento del campione (indifferenziato) è molto o abbastanza d’accordo con l’introduzione di un corso obbligatorio per apprendere la lingua, la storia, la cultura e i principi della Costituzione italiana, prima di poter accedere allo status di cittadino.
Più di uno su tre (37 per cento) ritiene normale o giusto attendere dieci anni per poter prendere la cittadinanza italiana. Il voto non è particolarmente pregiato come strumento di integrazione (56 per cento). Contano molto di più conoscere la lingua italiana (95 per cento) e avere possibilità di lavoro (92 per cento).
