La Wal-Mart, una delle catene di supermercati più grandi al mondo, ha deciso di razionare la vendita del riso: non più di quattro pacchi per volta a ogni cliente. Motivo: un prezzo che, all’ingrosso, è aumentato in un anno del 74%, e una domanda che ormai supera di gran lunga l’offerta. E non è nemmeno vero, come qualcuno ha scritto, che negli Stati Uniti sia il primo caso di razionamento alimentare. Nel ’44 accadde lo stesso e non soltanto per il riso. Tempo fa una signora americana mi mostrò un tesserino ingiallito: era la carta annonaria che a Chicago i suoi nonni furono costretti a usare per acquistare molti prodotti alimentari. Anche la carne. Allora c’era la guerra, ma oggi che succede? La tv, per non scatenare il panico fra i consumatori, sta mettendo in sordina questo genere di notizie e la rivolta che pochi giorni fa è esplosa in uno dei più poveri ed affollati quartieri del Cairo, a causa di un prezzo del pane più che raddoppiato in un mese, è passata sotto silenzio. Stessa sorte per il fatto che Cina e India hanno vietato l’esportazione di riso, e per la notizia del mais, ora utilizzato in Sud America per produrre bio carburanti all’etanolo, che comincia ad essere venduto a peso d’oro.
E quel che più conta è che il riverbero di questa situazione sia arrivato anche in Italia, dove il prezzo di quasi tutti i cereali è già lievitato del 20-25% in accoppiata a quelli della benzina e del gasolio che, per le famiglie, hanno ormai costi proibitivi. Gli analisti si sbizzarriscono nell’elencare le possibili cause del mezzo pandemonio in vista: riscaldamento della terra che ha bruciato i raccolti, errata programmazione delle colture, crescita esponenziale della domanda da parte di paesi in forte ascesa come Cina e Corea, giro di vite sulle scorte di petrolio in modo da poterne incrementare il prezzo, eccetera. Probabilmente c’è anche chi, nel tratteggiare la situazione a tinte così fosche, esagera per poterci più agevolmente speculare sopra. Ma certo non esagera chi sostiene che il governo che, per nostra fortuna, ci stiamo lasciando alle spalle, non solo non ha capito nulla ma ha fatto di tutto per aggravarla.
Ma di emergenza ormai si tratta: un impegno del nuovo governo dev’essere fronteggiare, anzi aggredire la situazione, facendo leva su strumenti che, da un lato, possano difendere il potere di acquisto delle famiglie e, dall’altro, servano a elaborare strategie che, nel breve ma soprattutto nel medio termine, contengano i costi dell’energia giunti ormai oltre ogni limite di sopportabilità. E ci vogliono, su entrambi i versanti, segnali forti e chiari. L’abolizione dell’Ici sulla prima casa (l’80% degli italiani oggi ne possiede una) è, per le famiglie, una prima boccata d’ossigeno come lo saranno la detassazione sugli straordinari e congrui sgravi alle imprese che investiranno i loro utili per migliorare la produttività. Non c’è dubbio però che si dovrà intervenire sia sulle imposte che oggi gravano sul petrolio che sulla struttura di una filiera distributiva, soprattutto del settore alimentare, che, come ha più volte sottolineato il presidente dell’antitrust Catricalà, presenta sconnessioni e moltiplicazione dei costi che oggi, viste le condizioni, non sono più giustificabili. E poi scommettere sul nucleare, unica strategica alternativa al petrolio. E se poi anche l’Unione europea si decidesse a guardare in faccia la realtà, sarebbe meglio per tutti.
Michela Vittoria Brambilla, Libero, 27/04/2008