COLLEGATO AMBIENTALE, INTERGRUPPO PARLAMENTARE: “PENE SEVERE PER CHI UCCIDE ANIMALI PROTETTI”

Elevare da contravvenzione a delitto e punire con la reclusione da 2 a 6 anni e con la multa da 5 a 100 mila euro la fattispecie di uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione etc. di esemplari di specie animali protette dalla normativa internazionale, europea e nazionale. E introdurre, in attesa di nuove regole comunitarie per contribuire alla tutela degli elefanti, il divieto di importazione, commercializzazione e riesportazione dell’avorio non lavorato. Sono due importanti innovazioni che l’intergruppo parlamentare per i diritti degli animali – riunito oggi sotto la presidenza dell’on. Michela Vittoria Brambilla, Fi – auspica di trovare, o comunque si propone di inserire, nel collegato ambientale alla cui definizione il governo sta lavorando.

“Appoggiamo la richiesta, già avanzata dalle associazioni protezionistiche – spiega l’on. Brambilla – di introdurre sanzioni più severe per il bracconaggio come previsto dal Piano d’azione per il contrasto degli illeciti contro gli uccelli selvatici, già approvato nel 2017 dalla conferenza Stato-Regioni, anzi, chiediamo che siano inasprite le pene a carico di chi commette reati a danno di qualunque specie protetta. E’ ora di punire seriamente chi commette crimini contro la natura. Oggi è impensabile che rischi solo qualche mese d’arresto o una modesta ammenda chi abbatte o cattura animali protetti: siamo di fronte ad un reato ben più grave che non per caso vorremmo collocare tra i delitti contro l’ambiente, dopo l’articolo 542-quater – “Disastro ambientale”, equiparando la pena a quella prevista per l’inquinamento ambientale”. Conferma Loredana De Petris (Leu), presidente del gruppo misto in Senato: “il collegato ambiente è la sede più corretta per inserire una riforma di questa portata, attesa da decenni e non più rinviabile”. Nella stessa direzione promettono il massimo impegno la sen. Loredana Russo (5s), la sen. Monica Cirinna’ e l’on. Paola Frassinetti (Fdi).

“Quanto alla norma sull’avorio non lavorato – aggiunge l’on. Brambilla – darebbe un rilevante segnale politico ai partner europei anticipando in parte una stretta sul mercato continentale dell’avorio indispensabile per tutelare l’elefante africano e quello asiatico. In Africa, dove ne sono rimasti circa 400 mila, ogni anno 20 mila elefanti perdono la vita sotto il fuoco dei bracconieri. E ricordiamoci che, secondo l’European investigation agency, tra il 2010 e il 2015 l’ Italia figurava come il secondo più grande esportatore di avorio verso la Cina e Hong Kong dopo la Gran Bretagna. La Gran Bretagna però ha introdotto una normativa tra le più restrittive al mondo”.

L’intergruppo, di cui fanno parte circa quaranta parlamentari di tutti gli schieramenti politici, condivide l’auspicio che l’Unione europea chiuda prima possibile il mercato dell’avorio e invita il governo a sostenere questa posizione nelle sedi opportune. E’ quanto chiedono anche i cittadini di 15 Stati membri, secondo l’indagine del Fondo internazionale per il benessere animale (IFAW). Gli europei, e gli italiani, vogliono gli elefanti vivi, non soprammobili d’avorio in salotto.