“I bei cretini scrivono che il Foglio, concordandolo con Arcore, ha rivelato (venerdì 4 maggio) l’intenzione del Cav. di puntare sulla Michela Vittoria Brambilla seriamente, come punta d’attacco di Forza Italia, dunque del partito di maggioranza relativa nel paese e nella coalizione di centrodestra. Le punte d’attacco in genere finiscono per essere candidate alla guida del governo, in specie se la punta delle punte, Berlusconi in persona, fosse per qualche ragione, magari una legge truffaldina sul conflitto di interessi, escluso dal ruolo. La notizia, e cioè la rivelazione che questo orientamento era stato reso pubblico a molti suoi collaboratori e alleati dal Cav., ha provocalo un terremoto silenzioso, come ci si poteva aspettare, nella coalizione delle opposizioni e nel partito di Berlusconi. E molta curiosità anche fuori da questi confini.
Com’è nata questa notizia? Da una confidenza sul marciapiede, senza richiesta di speciale riservatezza, di un notabile di Forza Italia. Al quale ho opposto una crassa risata: “Ma è impazzito definitivamente?”. Ci siamo poi separati e, nel tempo utile a che lui entrasse in macchina per tornare al lavoro, avevo fatto cento metri in di-rezione della sede del giornale. Per istinto, ho fermato la macchina che mi passava di fianco, gli ho chiesto di fermarsi e di aprire il finestrino, e gli ho detto con un sorrisetto sardonico: “Devo però dirti in coscienza che mi sono fatto una crassa risata anche quando il Cav. mi aveva fatto vedere ad Arcore il kit del candidato, e proposto Forza Italia come nome del nuovo partito per la sua famosa discesa in campo”. Risate finali, a bocca stretta, e l’auto è ripartita.
La mattina seguente al Foglio avevamo come al solito il problema della politica da sbattere in pagina il giorno dopo, appunto venerdì 4 maggio. Una noia mortale. La leadership del Partito democratico affidata a comitati di impiegati e coordinatori fasulli, la battaglia dei capi rinviata. Che palle, e che truffa in atto pubblico, dopo quei congressi lacrimanti e quelle promesse di innovazione nel sistema politico nutrite da un’ansia cocente di democrazia: nascerà e vivacchierà un partito senza leader e senza una vera constituency, roba artificiale finché la nomenclatura non abbia deciso quale dovrà essere il contenuto della democrazia, cioè chi tra loro prevale dopo un bel negoziato oligarchico al riparo da sorprese per tutti e per ciascuno. Sapremo il nuovo leader da un titolo di Repubblica (“E’ Veltroni la scelta dell’Ulivo”) invece che da un confronto elettorale nelle famose primarie, e le primarie saranno come quelle del 16 ottobre del 2005, un plebiscito bulgaro confortato dai candidati della sinistra radicale cosiddetta, che si pavoneggiano e si misurano a vuoto, e da un signor Società Civile qualsiasi allo 0,3 per cento.
Incazzato nero, mi sono detto: gliela do io la leadership, e ci metto anche il marketing elettorale e la fantasia al potere del mio beniamino Berlusca, che sono sostituti eccellenti della finta democrazia dei partiti superstiti alla prima Repubblica. Ho raccontato tutto ai miei in riunione, e ne è uscito, con approfondimenti e verifiche, il pezzo elegante in prima di Alessandro Giuli, che tra le altre cose si va specializzando in questo secondo capitolo potenziale di storia dell’antipolitica, dopo il gran romanzo dei nostri anni. Il giorno dopo, grande imbarazzo nel palazzo, niente smentite serie, correzioni piccine per tamponare la falla, e insomma la conferma sostanziale che ha messo a rumore, ma nel silenzio all’inizio pressoché totale, la politica. La Marianna Rizzini, che tra i suoi ritratti di femmine aveva, dopo la Finocchiaro, in carico la Brambilla, ha compiuto l’opera in fretta e furia e il giorno dopo ancora abbiamo fatto una paginata su questa signora molto attiva e molto esposta, che non conoscevo personalmente.
Ora l’ho conosciuta, le ho parlato e l’ho ascoltata per due ore davanti a un amico commensale e testimone incantato, e dico di uno che non è della stretta squadra dei professionisti dell’osservazione politica, un conoscitore di anime, piuttosto, un grande esteta. Risultato, ho mandato al Cav. un telegramma: “Conosciuta Brambilla stop lei è un genio stop”. Perché l’ho fatto?
Un po’ perché sono pazzo, un po’ per le ragioni che adesso debbo spiegare ai lettori. Queste.
La Brambilla, intanto, è una persona seria. Gavetta, sicurezza di sé, con sapevolezza dei propri limiti. E’ diretta e gradevole. Ha in più quella caratteristica tipica delle personalità politiche vere: uno pensa che sono sì seducenti, ma che sarebbe prudente evitare di incontrarle di notte in un viottolo, se non si sia convenientemente armati. Ha lo sguardo che uccide e, sui suoi alti tacchi a spillo, un’andatura barcollante e marziale insieme. E’ una dolce madre, una sposa senza fronzoli per la testa, un imprenditore deciso a non perdere una lira, anzi, e un aspirante politico sapientemente dissimulato nello schema società civile & cittadino contro stato & ceto partitante. Non riferirò nulla della conversazione, perché non sono un cafone, ma il giudizio su una personalità pubblica, conosciuta da milioni di italiani che guardano la tv molto più di me, che l’ho vista una decina di minuti a “Ballarò”, occorre ben darlo. E’ una che ci fa, con molto savoir faire, come tutti in politica, ma c’è. Eccome se c’è.
La domanda importante però è un’altra. Chi è lei per Berlusconi e come si situa nella congiuntura decisiva in cui il mio amato Cav. si trova oggi? E’ una proiezione fantastica, un Berlusconi in gonnella, in giovane età, con l’energia laser del fondatore di Forza Italia, con il suo stesso senso dell’organizzazione e del dettaglio, con una forza di volontà apparentemente coni parabile (la conosco appena, posso sbagliarmi, ma non credo) a quella del leader che ha scelto e che l’ha scelta (lui lo conosco ormai da vent’anni, e bene, e so immedesimarmi nei pensieri e nello status di un leader perché non sono un leader, e la mia è una immedesimazione gratuita, senza secondi fini per quanto legittimi).
In termini di proiezione psicologica, dunque, e di marketing politico e di talento specifico e di senso della realtà, la Brambilla si presenta a un occhio spassionato come il potenziale ed effettivo erede del fondatore di Forza Italia. No kidding, belie-ve me, make no mistake. Sbagliano gravemente, e a loro rischio e pericolo, coloro tra gli alleati del Cav. e tra i suoi compagni d’avventura che la sottovalutano, con la scusa, che anch’io comprendo, ci mancherebbe, che lei è nessuno in politica e non ha una storia nemmeno lontana mente paragonabile a quella del Cav. alle sue spalle, and no real money. Con la scusa, ci mancherebbe, è evidente, che l’intera operazione di mettere a lato Fini e Casini, e tutto lo stato maggiore del partito del Fondatore, è oggi quasi surreale. Ovvio. E’ anche più surreale della famosa discesa in campo, meno credibile del l’incredibile campagna napoleonica del 1994.
Tuttavia bisogna riflettere. Berlusconi, com’è umano e come avverto da tempo, è in cerca del suo happy end. Se mai ce la facesse a ritirarsi protestando la sua invincibilità, dietro l’accusa di brogli alla maggioranza di centrosinistra, fino all’ultimo broglio che è la legge sul conflitto di interessi, e se ce la facesse a mantenere saldamente potere e influenza su partito e coalizione, lanciando una candidata integralmente “sua”, anche sul piano semantico, sua e solo sua, e magari riprendendo a occuparsi anche degli affari di famiglia, ma spingendo la sua pupilla verso un non impossibile esito elettorale vittorioso (visto anche quel che ci sarà dal l’altra parte, la partita è più che giocabile). Bè, se accadesse il giorno dopo saremmo in milioni, si fa per dire, a compiere atti di adorazione dell’ultimo abito dell’imperatore della politica italiana e, forse, mondiale. E lui non vuole soltanto piacere, come si dice, preferisce all’occasione essere adorato. Questo sarebbe un vero happy end hollywoodiano.
La Brambilla a Palazzo Chigi! Un’immagine di una potenza suggestiva spaventosa, di quelle che piacciono al grande sognatore e al grande matto liberale e populista che crede solo nei sondaggi, perché è un democratico all’americana con i fiocchi, e nella semplicità dei messaggi. Il leader venuto dall’antipolitica che spalanca la porta della vittoria a una sua reincarnazione giovane e femminile, l’immagine che perpetua für ewig, per sempre, i due tratti pertinenti, una certa femminilità rassicurante e una tremenda giovinezza perpetua, della personalità di Berlusconi, quella personalità che solo uno psichiatra da Rignano Flaminio come il professor onorevole Cancrini può aver scambiato per patologica e criminale nei suoi vecchi referti clinici sull’Unità.
C’è dell’altro: l’inesistenza di una alternativa nella logica di Berlusconi, a parte uno stanco negoziato, che sarebbe inevitabilmente tradito nel rancore e nella dispersione delle energie, per incoronare di malavoglia e contro le ragioni del cuore e della mente del king maker, uno dei leader della coalizione, un Fini o un Casini.
Quanto a Forza Italia, todos caballeros. Mettiamo subito da parte Letta, che è e vuole essere un fedele Ambasciatore della Sublime Porta, gran ruolo che per lui ha sempre escluso l’impegno diretto nella politica vera o finta, quella esposta al pubblico. Berlusconi li ama sul serio, i suoi. Tremonti è un genio, Pisanu “soccombe”, nel senso che va a letto presto, ma è leale ed esperto. Scajola è stato uno da salvare, perché è sodo, sa che cosa vuoi dire il binomio organizzazione & politica. Bondi è nel suo cuore, ricambiato con passione poetica. Cicchitto è utile, un vecchio marpione socialista con un suo stile operativo. Verdini è un fantasista elettorale mica male, e sa trattare sulle liste, cosa che al Cav. non riesce perché ha la sindrome del dire si a tutti). Dell’Utri è troppo intelligente per non sapere che lui, uno dell’inner circle e della prima ora, è stato aggredito dalla giustizia ingiusta, e il prezzo ingiusto è contare senza comparire. Moratti, una meraviglia di donna e di amica, ma è fredda, la Letizia. Pera giganteggia come pensatore, è rispettato, ma è un pensatore (che guaio). Formigoni è un grande della territorialità lombarda, ma è forastico, ciellino, troppo diverso.
Berlusconi ama davvero anche i deputati e i senatori, i famosi coordinatori, gli uomini d’azienda e quelli no, le figure obiettivamente minori, ciascuno di loro ha un posto nel suo cuore. E comunque tutti, dico tutti coloro che hanno collaborato con lui al governo e nel partito hanno una caratteristica: appartengono ormai in un modo o nell’altro alla politica; e proprio alla politica nel suo senso specifico, maschile, professionale, l’industriale di Milano che nel 1994 cambiò la vita degli italiani e la storia patria è assolutamente, irriducibilmente allergico. Secondo me l’Invincibile, il grande Cavaliere Mascarato delle fantasie dei bambini elettori, non lascerà passargli davanti uno dei due alleati che ritiene responsabili della sua sconfitta, a torto o a ragione: ha una memoria da elefante. E non lascerà mai, quali che siano i loro meriti o demeriti, l’eredità a un politico del suo giro.
Sapete che sono sincero nell’analisi. Perché nel passato, e ancora lo penso, ho scritto polemicamente mille volte che con il Gran Circo dell’outsider non si va da nessuna parte, se non lo si integri con una robusta dose di coscienza culturale e civile di quel che significa stare sulla scena pubblica di un grande paese avanzato com’è l’Italia, con la sua storia anche istituzionale e le sue tradizioni di classe dirigente. Ho fatto più io che Carlo in Francia per convincere il Cav. a farsi statista tra gli statisti, statista degli statisti. Ma alla fine uno deve ben imparare chi è l’altro, o no? Berlusconi non ha nessun complesso culturale (giustamente, vivaddio), e le idee senza una forma nel mercato, esposte dai suoi amici o dai suoi più fieri nemici, gli fanno letteralmente un baffo.
Non scommetto sul successo dell’operazione, e non sostengo se non con una divertita, anzi incantata curiosità intellettuale, la carta Brambilla. In termini di realismo oggi è un due di coppe, quella carta. La potenza di fuoco del ricatto di palazzo, l’orrore e lo sdegno che mostrano verso l’ultimo oltraggio non soltanto i notabili ma anche persone solitamente intelligenti e spiritose, traumatizzate di fronte a questa irruzione di nuova surrealtà che dovrebbe travolgere come le guardie rosse di Mao, e poi incorporare con la sapienza di Deng Xiao Ping, il quartier generale berlusconiano, sono forse un ostacolo insuperabile. Ma la briscola a questa mano è di coppe, anche il due conta.”
Il Foglio, Giuliano Ferrara, 12/05/07